Nelle ultime due settimane mi sono sentita un po’ orfana: un calzino spaiato abbandonato su un comò per settimane, in attesa del ricongiungimento con il suo compare. Metafora scelta non a caso, e chi mi conosce sa dei miei calzini sperduti poi abbinati in modi improbabili causa disperazione.
Mi sono sentita come il suddetto calzino perché ero alla ricerca di un posto che soddisfacesse il mio desiderio lipidico e che sposasse il mio gusto. Dopo un paio di tentativi non andati a buon fine, e sui quali tacerò perché non sono (ancora) abbastanza famosa da potermi permettere stroncature, ho deciso di abbandonare i tradizionali metodi di ricerca e di affidarmi alla serendipità, ossia, per dirlo in modo potabile (comprensibile, formula dialettale foggiana), di affidarmi al caso, con ingegnere biondo al seguito: lui sostiene di essere ingrassato non poco da quando ho iniziato a scrivere questo blog… Secondo me è solo un ottimo alibi, voi che dite? 😛 Anyway, parlavamo del caso. Anche il caso, qualche volta, genera situazioni felici, come quel venerdì sera in cui sono capitata, da Birstrò al Pigneto.
Birstrò al Pigneto è un locale piuttosto raccolto, una quindicina di tavoli, un bancone e una grande vetrata a vista con gli impianti di produzione della birra, definita per questo dai proprietari del locale a km 0,005.
I diversi tipi di birra, tutti artigianali, sono proposti con rotazione periodica: lo scorso venerdì, tra le birre disponibili c’erano la Te dico fermate e la Pigneta. Ovviamente le ho assaggiate entrambe. Altrettanto ovviamente, non potevo fare a meno di provare le chips, leggere, croccanti e per niente unte, insomma così buone che sono stata costretta a prenderne due porzioni… Una piacevolissima sorpresa sono il ketchup e la maionese fatti in casa: incredibilmente, ho scoperto che il ketchup sa di pomodoro! 😀
La cucina non offre moltissimi piatti, ma tutti piuttosto particolari: il mio ingegnere biondo – sì, quello che si lamenta di essere ingrassato per colpa di questo blog, inconsapevole del servizio da benefattore che con me rende all’umanità testando locali e ristoranti -, quell’ingegnere biondo insomma, ha ordinato il meraviglioso stinco di maiale di cui abbiamo una diapositiva nella parte superiore del post. Più di sette etti di bontà, in abbondante salsa barbecue. Del resto con tutta quella birra e quelle patatine che cosa puoi mangiare, il tofu?
Ormai dovreste conoscere a memoria il mio amore smisurato per il formaggio in ogni sua forma e manifestazione, sia umana che mistica, quindi non vi stupirà sapere che – come avevo fatto già da C1b0 tempo fa – sono stata attratta subito dal cheeseburger alla romana. Quando ho chiesto alla ragazza che serviva ai tavoli cosa si intendesse per cheeseburger alla romana, la sua risposta è stata canto soave per le mie orecchie: con alla romana, si intende che, al posto della tipica fetta di formaggio, solitamente cheddar (scusate, mi asciugo la saliva…) c’è una specie di sottiletta a base di pecorino romano e pepe. Ok, donna, mi hai convinto, portamene dieci!, avrei voluto dire. Mi sono limitata ad annuire, ordinarne uno e pregustarne la bontà tra una patatina e un sorso di birra.
L’attesa non è stata lunga, e presto ho visto avanzare verso di me il mio panino in tutto il suo splendore: ho richiesto la carne a cottura media, ma a onor del vero va detto che da Birstrò al Pigneto preferiscono servire l’hamburger al sangue, con grande gioia di carnivori DOC.
Nonostante fossi già abbastanza ripiena di patatine e birra – quella Pigneta è una maledetta, scende come acqua -, mi sono fatta onore e ho finito il mio panino, rubando persino qualche boccone dello stinco dell’ingegnere, che come me ha reso l’adeguato tributo al suo piatto. Un’opinione sintetica? Voi non potete capire che cos’è il pecorino col pepe sull’hamburger…